Fino a pochi anni fa l’infiammazione era un problema come gli altri, un sintomo da “spegnere” con i medicinali giusti ma di cui non preoccuparsi più di tanto. Oggi la visione è cambiata e la flogosi (il nome “tecnico” dell’infiammazione) è al centro degli interessi di medici e ricercatori perché si è capito che questo “fuoco” può compromettere la salute ed è fra i meccanismi principali di una serie interminabile e variegata di malattie.
Patologie diverse fra loro come infarto, cancro, obesità, diabete, malattie neurodegenerative condividono meccanismi
Nell’obesità, per esempio, la sovrabbondanza di tessuto adiposo invia segnali che disorientano i macrofagi, cellule che di norma orchestrano le funzioni del grasso corporeo e che con l’eccesso di peso iniziano invece a produrre molecole pro-infiammatorie, che sono alla base delle conseguenze negative dei tanti chili di troppo, tumori compresi. Si tratta di un’infiammazione ad andamento lento , di cui non è immediato riconoscere la presenza.
Per esempio in presenza di infiammazione è più probabile che le placche aterosclerotiche si rompano provocando un infarto
Il colesterolo alto è uno dei fattori che più incrementa il livello di infiammazione generale nei vasi, per cui una prima mossa preventiva è cercare di tenerlo basso con uno stile di vita sano, fatto di dieta equilibrata e movimento regolare
Il problema maggiore, è capire se il nostro organismo è in presenza di una situazione infiammatoria, dal nostro livello di coscienza non percepito e dove si annida
Tuttora non ci sono marcatori precisi, e non è ancora possibile costruire un “profilo infiammatorio” per ciascuno di noi, per capire se stiamo nascondendo una flogosi cronica sotto soglia che potrebbe provocare danni. Difficile anche riconoscere tutti i motivi che ci rendono così soggetti ad “infiammarci”
Potremmo azzardare delle ipotesi:
In parte conta lo stile di vita occidentale che, per esempio, riduce il contatto con i germi durante l’infanzia non consentendo al sistema immunitario di svilupparsi e modulare le sue risposte in modo corretto, facilitando perciò la comparsa di reazioni infiammatorie esagerate o improprie; un ruolo lo gioca poi il microbiota, ovvero i germi che vivono nel nostro intestino. In questo organo il contatto con elementi che arrivano dall’esterno è continuo e ciò provoca una reazione infiammatoria che di solito è controllata e localizzata; in alcune persone, per motivi non ancora chiari, la risposta diventa esagerata, cronicizza e si trasforma in patologia
Da qui la comparsa di malattie infiammatorie croniche a carico dell’intestino o di altri organi e sistemi più a contatto con l’esterno e quindi con stimoli che inducono una reazione immuno-infiammatoria che tuttavia in chi è sano si autolimita
Non è un caso se pelle e vie aeree sono più spesso coinvolte da patologie con una forte componente infiammatoria come la psoriasi, la dermatite atopica, le allergie, l’asma.
L’infiammazione o flogosi è una risposta positiva di difesa, ma quando va fuori controllo diventa un problema
Quando ci sono i sintomi di una flogosi si interviene con una corretta terapia, è invece più difficile intercettare l’infiammazione sotto soglia che non dà nessun segno evidente
Al momento possiamo fare prevenzione con uno stile di vita sano che metta al bando ciò che “accende” una reazione infiammatoria, come per esempio l’alimentazione sbagliata, la sedentarietà, il fumo».
Le ultime ricerche ci dicono che il sistema nervoso e quello immunitario sono “connessi” Alcuni mediatori immunitari, come per esempio l’interleuchina 1, li troviamo infatti anche nel cervello
Questo ci porta a ipotizzare un nesso fra immunità e mente. Per esempio è stato dimostrato, che negli anziani che vivono isolati i livelli dei mediatori dell’infiammazione sono più elevati rispetto a quelli che si riscontrano in chi coltiva delle relazioni
L’infiammazione aumenta col crescere degli anni ed è anche associata a una maggior mortalità negli anziani. I ricercatori ci dicono che il motivo potrebbe risiedere nella flora batterica intestinale. Stando a una ricerca della McMaster University, con esperimenti sui topolini, ci si è accorti che squilibri nella composizione del microbiota associati all’invecchiamento rendono l’intestino più permeabile, consentendo il rilascio di prodotti batterici che favoriscono l’infiammazione e minano la funzionalità del sistema immunitario.
Quando mangiamo, nell’intestino si accende l’infiammazione, infatti poiché in ogni boccone ci sono nutrienti e batteri, l’organismo deve sia distribuire il glucosio, sia gestire germi potenzialmente pericolosi. Il corpo lo fa avviando un processo di infiammazione controllata e localizzata. Dopo un pasto, intorno al tratto gastroenterico cresce il numero di macrofagi: cellule immunitarie “spazzine” che producono l’interleuchina 1 beta, in grado di stimolare la produzione di insulina per una corretta distribuzione del glucosio ingerito. L’interleuchina, però, fa anche sì che parte del glucosio venga messo a disposizione del sistema immunitario, che può così restare “vigile”.
Siamo solo agli inizi di questa ipotesi sulla pervicacia dell’infiammazione sul nostro sistema immunitario ma gli studi si stanno moltiplicando e ciò ci fa ben sperare perché si arrivi a capirne sempre più sui meccanismi di difesa da mettere in atto